Oggi è protagonista il cucciolo di un’asina. Porta un re di pace, anzi il Re. Niente cavalli, niente scudieri. Umiltà totale. Segno distintivo pare la “verginità”, mai stato cavalcato come sarà il suo sepolcro, del resto, mai accolto un cadavere. Puro, si direbbe. Incontaminato. Stranezze. Come il prevedere da parte di Gesù di obiezioni. Se vi diranno qualcosa… sottrarre fino a prova contraria sarebbe rubare. Qui invece l’urgenza e il bisogno paiono giustificare il gesto. Insomma, c’è un destino. Nessuno oserà opporsi, anzi molti lo favoriranno pensando di essere i protagonisti della storia, ma in realtà tutto è in mano al Padre, il Signore della storia. L’ingresso del Messia di pace a Gerusalemme è la grande icona che trova nel segno del puledro la sua bella rappresentazione. Gesù non è un re con la forza, non è un re con le armi, ma con una cavalcatura dimessa e fragile. Sì, il Signore ha bisogno del puledro della pace, della cavalcatura che è il segno umile e disarmato della sua missione. Ma c’è bisogno anche di una pratica della pace, altrimenti tutto è utopistico e poco credibile. Non a caso al tempo di Gesù si credeva che il messia d’Israele sarebbe giunto a Gerusalemme o sulle nubi del cielo o su un asino. Guarda caso, gli Ebrei lo aspettano ancora!

La descrizione del modo in cui Gesù chiede di una cavalcatura, rispetto alla dinamica del racconto, è sproporzionata pe cui mi chiedo: perché spendere così tante parole per una questione che sembra secondaria? Trovo tante risposte. San Giustino di Nablus, per esempio, pensava che l’asina fosse un simbolo degli ebrei soggiogati dalla Legge, mentre invece il puledro, libero e non cavalcato da Gesù, doveva essere il simbolo dei pagani che non avevano ricevuto ancora la Torà. Origene, nel suo commento, interpretava analogamente l’asina come l’antico popolo d’Israele, e il puledro come il nuovo e giovane popolo di Dio proveniente dalle nazioni. Alberto Mello, nel suo commentario, si avvicina a questa impostazione e interpreta i due animali come il simbolo del rapporto tra nuovo e antico patto, entrambi riassunti nel gesto messianico di Gesù: Gesù è il Messia pacifico, nel senso che crea la pace tra ebrei e gentili, tra vicini e lontani.

Qualcuno preferisce una tradizione rabbinica riguardante una particolare asina, quella di Abramo. Così recita una testimonianza antica (che non era ancora fissata in questa forma, ma magari si stava già formando ai tempi di Gesù): Abramo si alzò di buon mattino, prese con sé Ismaele, Eleazaro e Isacco suo figlio, e sellò il suo asino. Quest’asino è il figlio dell’asina che era stata creata al crepuscolo. È l’asino che cavalcò anche Mosè quando scese in Egitto ed è sicuramente l’asino che cavalcherà il Figlio di David, come è scritto detto: Esulta, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Apprezziamo tutte le interpretazioni, ma forse basta sostenere che siamo indubbiamente di fronte a una svolta nella vicenda di Gesù. Fino a questo momento Gesù non aveva mai detto in maniera esplicita di essere il Messia. La pretesa messianica era implicita nella convinzione e nell’affermazione di Gesù che chiede di credere in lui, almeno per le opere compiute.  Ma questa pretesa Gesù non l’aveva mai formulata in maniera aperta. Ora la situazione e diversa. È giunto il momento, l’ora. Con il richiamo alla profezia di Zaccaria l’ingresso in Gerusalemme è un invito esplicito a riconoscerlo come il re davidico annunciato dal profeta. Un re mansueto, non guerriero, ma che presenta comunque i tratti del Messia. E i pellegrini che accompagnano Gesù sembrano comprendere il segno. Inneggiano infatti alla venuta imminente del regno davidico.