Stranota la parabola di oggi. Il figlio minore parte per un paese straniero con l’illusione di godersi i suoi beni in piena autonomia. Dopo aver vissuto in modo dissoluto (asôtôs, irresponsabilmente) e aver sperperato i suoi beni, essendo sopravvenuta una carestia, egli è ridotto alla fame e, per sopravvivere, va a pascolare i porci sotto un padrone del posto, molto esigente e senza pietà, che non gli consente nemmeno di sottrarre qualche carruba agli animali per sfamarsi. Questo tipo di lavoro rappresentava per un giudeo il colmo della degradazione, perché lo metteva a contatto con i gentili, gli unici che allevavano i porci, animali che i giudei consideravano impuri. La carruba, dunque, come segno del doppio degrado. Eppure, il carrubo è una pianta molto buona. Preziosa e ricca di valori nutritivi.

Citato solo nel Nuovo Testamento, il carrubo è un albero nativo in Israele, importante componente della sua vegetazione, presente sulle pianure costiere e sulle colline della Galilea e della Samaria. Pianta di molto interesse anche in medicina per i semi le cui farine ricche di addensanti ed emulsionanti vengono impiegate in campo farmaceutico ed alimentare. Inoltre, i frutti, previa frantumazione, possono essere sottoposti a fermentazione e distillazione per dare alcool. I semi, molto duri e omogenei per dimensioni e peso, sono stati usati a lungo come unità di peso, il carato (dall’arabo quirat), per metalli preziosi. Le foglie ricche di tannino sono impiegate per la concia delle pelli, mentre il legno trova uso in lavori di ebanisteria e nella fabbricazione di barche. Qualche studioso si azzarda nel dire che le locuste di cui si cibava il Battista in realtà fossero le carrube. In inglese il carrubo si dice: “Locust tree” e il frutto lo chiamano: “il pane di san Giovanni”!

Deve essersi sentito veramente umiliato se il rifiuto delle carrube scatena in lui il desiderio del ritorno, del pentimento, della richiesta del perdono. E nella nostra vita, cosa potrebbero essere le carrube?