Quando noi prendiamo per mano una persona? Io a dire il vero sento la nostalgia di essere preso per mano. Da piccolo ho vaghi ricordi fin dall’asilo (e quindi fin dai 3 o 4 anni di età) che quando mi si prendeva per mano, vivevo una sensazione piacevolissima. Adesso, anche quando invito la gente durante la liturgia a prendersi per mano, noto a volte reazioni di disagio. Prendere per mano una persona è colto addirittura come un gesto intimo.

Un papà prende per mano il suo bambino, una volta che ha imparato a camminare. Un amico si stringe l’amico e gli poggia la mano sulla spalla. Un fidanzato accompagna la sua innamorata. Che bello quando anche dopo 50 anni di matrimonio si passeggia lungo la via dandosi la mano!

Mi piace questo Gesù che risana la suocera di Pietro, prendendola per la mano. È un gesto di una rivoluzione epocale, che suggerisce nuovamente il confine che Cristo sa ogni volta cancellare. Alle donne non si poteva parlare, le donne non si potevano toccare, al tempio non potevano accedere se non secondo regole ben precise…

Gesù sconfina. E lo fa per insegnare. Anche la sua Chiesa dovrà essere così. Lui l’ha guarita, come la suocera di Pietro per mettersi all’istante al servizio dell’umanità.

A Cafarnao il Messia vive una sua giornata tipo. Sarebbe bello analizzarla scientificamente. È piena di incontri e di condivisioni. Suscita entusiasmo, ma custodisce il segreto. Gesù si apparta, solo. La sua forza sta nel mantenere il rapporto con il Padre nella preghiera. Pietro e gli altri quasi lo rimproverano per essersi appartato; pare si lamentino: “Ma come, ora che tutti lo cercano lui si fa desiderare?” Il verbo usato da Marco sottintende quasi un rapimento, un accaparramento… Gesù è libero, non si lascia sequestrare da nessuno, non tornerà a Cafarnao, nessuno lo può legare o possedere. Lui deve prendere per mano l’umanità intera.